Helen Keller 

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Helen Keller (1880-1968)

Hellen Keller (1880/1968)è cieca e sorda da quando aveva pochi mesi. Nessun medico è mai riuscito a nulla e la sua famiglia si è pressoché rassegnata a crescerla in uno stato selvaggio, senza trovare il modo di insegnarle a comunicare con il resto del mondo.

La madre di Hellen tuttavia cova in sé ancora il desiderio di aiutarla a tirarsi fuori e convince il marito a consultare una scuola di Boston dove insegnano proprio ai sordi e ai ciechi ad esprimersi con un alfabeto a loro comprensibile.

Da Boston arriverà Annie Sullivan, chiamata per educare Hellen.

La prima lotta che l’insegnante dovrà condurre sarà proprio contro la famiglia Keller, abituata a colmare Hellen di attenzioni senza impartirle nessun genere di educazione.

La testardaggine e la risolutezza sono le armi d’Annie, che vince sia la prima battaglia che la seconda più difficile: quella contro una bambina viziata, abituata ad ottenere tutto quello che vuole senza sforzo.

Gli infiniti sforzi di Annie e questa sua ostinazione, giudicata inutile dall’intera famiglia, saranno le molle principali a dare vita ad un miracolo, senza peraltro dimenticare la presenza ricettiva di un’allieva sveglia, anche se altrettanto ostinata.

Anna dei miracoli

“The miracle worker”, Usa, 1962, b/n, 107 di Arthur Penn, con Anne Bancroft, Patty Duke, Victor Jory, Inga Swenson,  Andrew Prine, Kathleen Comegys 

Anna dei miracoli …. Ma sarà stato veramente un miracolo quello compiuto da Annie Sullivan nei confronti di Hellen Keller? Io credo che sia stato soprattutto il frutto di una grande intuizione e di una buona dose di fiducia, dovuta al fatto che la stessa Annie era stata in una situazione analoga a quella di Hellen e n’era uscita. Credo che l'umiltà con cui l'una si sia data nell'educare l'altra sia stata straordinaria. Annie non ha mai pensato, neanche per un minuto di essere stata privilegiata o più intelligente o anche soltanto più fortunata nel recuperare una vita dignitosa nonostante la cecità, ma ha considerato se stessa né più né meno come Hellen e per questo da lei ha preteso molto: sapeva che poteva dare.

La famiglia Keller era animata da una gran compassione per la loro figlia sfortunata, senza avere la comprensione che a volte il troppo amore, soprattutto quando significa accontentare ogni capriccio, produce male più che bene.

Il loro atteggiamento era più che umano, ma non mancava in esso una sorta di rassegnazione che non riesco a comprendere: come accettare che un figlio passi tutta la sua vita senza trovare il modo di comunicare con il prossimo? Come accettare di non riuscire a trovare il modo di comunicare con lui?

Sarà una mia fissazione quella della comunicazione, ma io mi pongo spesso le stesse domande di Annie Sullivan quando non riesco a trovare la via per costruire un dialogo con qualcuno: come posso raggiungerlo?

C’è sempre un modo per arrivare all’anima di qualcuno, per riuscire ad instaurare un rapporto che sia tale, dove entrambi gli individui possano portare un loro contributo in modo attivo.

Annie Sullivan ci ha solo indicato il modo: una grande pazienza e nessuna resa.

La scena di 9 minuti tra Annie ed Hellen intorno al tavolo ne è una dimostrazione. Quale spinta, se non l’amore, porta a combattere con una persona per un intero pomeriggio al solo scopo di piegare un tovagliolo? Una cosa banale, apparentemente, in realtà un risultato eccezionale se si considera il contesto di una bambina abituata a vivere allo stato brado.

Concludo. Due Oscar, meritatissimi, ad Anne Bancroft e Patty Duke, rispettivamente nei ruoli di Annie e Helen.

E se leggendo queste righe arriverete a pensare che questo film è uno dei miei preferiti … E’ vero. La passione che mi ha ispirato, pochi altri me la hanno tirata fuori, soprattutto quando penso che è una storia vera.